LA BAMBINA AL PLUTONIO SCOPRE CHE LE PIACE ANDARE A SCUOLA

Mi ha fatto male l’infelice battuta di un governatore che sembra non aver colto il valore profondo dell’attività scolastica in presenza 

L’ironia, l’ironia è una gran cosa, una di quelle difese del nostro io che lo stesso Sigmund Freud, nella sua psicopatologia della vita quotidiana, ritiene essere la risorsa più grande possibile, aiuto assolutamente insostituibile nei momenti di grande difficoltà della vita. 

Mi ha fatto però proprio male l’infelice ironia di quel governatore narcisisticamente compiaciuto della propria verve, che con l’amaro in bocca e un sardonico atteggiamento ha schernito la bambina rea solo di avere in modo sincero e forse inaspettato dichiarato che ama la scuola e che non poterci andare la rende infelice.

Immaginare che tale sentimento sia il prodotto quasi di una mutazione genetica o per dirla con la parola del governatore “un allattamento con latte al plutonio” mi sembra disonesto ed al contempo profondamente depressivo.

Disonesto perché rincorre la battuta, la superficialità, immaginando di potere sottrarsi alla responsabilità di una scelta dura, probabilmente utile e certamente doverosa da parte di chi ci governa; depressiva perché intristisce che si arrivi a prendersela con i più deboli e i più fragili nel momento in cui manifestano con ingenuità le proprie emozioni.

Aldilà del caso di specie come direbbero gli avvocati, la testimonianza della bambina ha a mio avviso grande importanza proprio perché mi sembra che sia in qualche modo generalizzabile, e investa pienamente il complesso tema, di cui mi occupo da tempo, della scuola e della ripresa dell’insegnamento in tempo di covid.

Come avviene in tutte le situazioni drammatiche stiamo assistendo a mio modo di vedere ad una giusta valorizzazione di cose che nel ‘mondo di prima’ sembravano assolutamente scontate e quindi di minor valore. 

Mi sono chiesto ad esempio da dove venga tutta questa voglia di scuola (in presenza) da parte degli alunni; potremmo pensare che dietro al display, spesso in pigiama (almeno per la parte non in favore di telecamera) sia più comoda la DAD. Mille trucchi per copiare o fare finta di stare attenti, mille chat con gli amici mentre la prof di Latino: Rosa Rosae….. Tutto più divertente e più semplice. 

In un primo momento i liceali, almeno quelli che conosco io, ci son andati a nozze con la DAD e forse anche qualche insegnante amante dei pantaloni di flanella e delle babbucce. 

Ora però da più parti la supplica della bimba campana, tanto modificata dal plutonio, sembra aver toccato il cuore di studenti e insegnanti.   

A dispetto del necessario distanziamento gli adolescenti tendono ad esempio a riunirsi in gruppetti  per frequentare insieme la DAD e con grande sorpresa anche molti  insegnanti preferiscono recarsi a scuola per lavorare al pc e per tenere proprie lezioni. 

La comunità scolastica dunque scopre di aver perso qualcosa che da sempre è stato il fondamento  del proprio agire, qualcosa che come l’aria, ti rendi conto che esiste solo quando non ne hai più, come  la relazione fisica, lo stare insieme, il corpo il respiro il sudore… la carne. 

Allora tutti a cercare calore, come piccoli roditori rimasti nella caverna al freddo tutti a cercare contatto, a cercare quel po’ di sole. 

Ora scopriamo che quello stare fuori appena prima dell’inizio, quel rumore di passi sulle scale, quelle volte in cui i commessi urlano “andate piano! Non correte!!!!!”, quel vociare, quell’odore di chiuso e di sudore, tutto quello non è un di più, è l’elemento vitale in cui si realizza la magia dell’imparare a diventare grandi. Il ritorno a scuola come ritorno alla vita. 

Poi una volta tornati vivi immagino che tanti potranno addirittura permettersi il lusso di snobbare la scuola o di trovarla pesante ed inutile.  Ma questo per ora è un lusso che non ci si può permettere. 

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