In una società che invita alla corsa e alla rincorsa continue, fermarsi diventa rivoluzionario. L’inerzia va considerata per quel che è: una pausa che consente alla coscienza di emergere da sotto il peso delle attività quotidiane, rivelando la profondità dell’esperienza Fare, decidere, agire… sembrano questi gli imperativi ai quali dobbiamo rispondere a queste latitudini, nella terra del «che lavoro fai?» A Milano non si sta con le mani in mano, recita l’antico adagio, a ricordarci che il male peggiore è il far nulla. D’altronde, «#milanononsiferma» recitava l’hashtag della pandemia che ha segnato la nostra storia e poi, si sa, l’ozio è il padre dei vizi.Leggi altro →

Stiamo costruendo una società in cui, sempre più, il non essere produttivi svuota di senso le esistenze. Ma cosa significa trovare il senso solo nell’utilità? La filosofia pone delle domande e tiene in qualche modo in stato d’allerta il pensiero, mentre la scienza tende ad acquietarlo. Così almeno disse Sergio Moravia in un’intervista. Per associazione, mi viene in mente che spesso guardando i documentari che raccontano la vita nella natura, si assiste a scene raccapriccianti, durissime, in cui animali feroci dilaniano la carne di animali indifesi, i famosi pesci grandi che si “occupano” dei pesci piccoli. Tutto questo all’interno di una logica in cui ciLeggi altro →

Quando capiamo da dove arrivano il disagio, il malessere, la sofferenza, pensiamo che il lavoro sia fatto. In realtà, quello è solo l’inizio della strada che ci porta verso il nuovo “noi” «Non lo mandare sulla terra, te lo racconto io come stanno le cose…». Così, un empio Roberto Benigni ci racconta l’incarnazione, in uno dei suoi interrogativi più interessanti. Che senso ha l’incarnazione? Perché Dio, nella sua onnipotenza, ha dovuto mandare sulla terra suo figlio? Che senso hanno la sofferenza, il martirio, la croce? Domande complesse che sicuramente richiedono riflessioni e meditazioni altrettanto complesse, definitive, che non ho la tracotanza di saper affrontare. ALeggi altro →

Riti che si ripetono, gesti di cura e manutenzione del quotidiano. Tutto questo, ormai troppo spesso, viene associato a mancanza di senso, noia, immobilismo. Ma nella affannosa ricerca di novità rischiamo di scambiare la sbornia con la degustazione, la sensazione del momento con il suo senso profondo. Il mio maestro, ormai più di dieci anni fa, mi regalò un piccolo orologio da tavola vintage. Di ottima marca e preciso, va caricato manualmente una volta ogni settimana e ha un piccolo cursore per adattare il meccanismo ai cambiamenti di temperatura che possono variarne la precisione. Così, tutte le settimane, il sabato mattina, io verifico l’ora esatta, doLeggi altro →

Il materno è il mondo dal quale proveniamo e il paradiso perduto per il solo fatto di essere nati; il paterno invece è la sfida, l’atto del cuore (coraggio) di confrontarci con le nostre peggiori paure, di andare oltre. Come tutto questo si è perso nella generazione dei genitori contemporanei? E cosa significa, per i figli? Mamma e papà ci lasciano in eredità due paia di chiavi; mamma le chiavi di casa e papà le chiavi della macchina. Così almeno in una conversazione gentile e profonda, uno dei miei maestri mi spiegava anni fa come funziona la cosa. In fondo da sempre siamo governati daLeggi altro →

Quando possiamo dire che di fronte a un torto è stata fatta giustizia? Se è la vendetta a guidarci, non facciamo che proseguire proprio in quella modalità che abbiamo criticato o contro cui abbiamo lottato «[…] e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio, prima di genuflettermi nell’ora dell’addio, non conoscendo affatto la statura di Dio». Così Faber, il maestro poeta e cantastorie della pochezza umana, ci racconta la storia di un nano che silenziosamente e caparbiamente riesce a studiare e a diventare giudice. Finalmente, dunque, raggiunta la statura elevata che il suo ruolo gli dà, riesce a compiere la sua vendettaLeggi altro →

Sperare non significa necessariamente accettare un premio di consolazione quando le cose vanno male. Ha a che fare con l’apertura al nuovo, al non ancora visto. Alla vita che può nascere. «Chi di speranza campa, disperato non muore»: uno dei miei cantautori preferiti, Enzo Avitabile, col suo napoletano ruvido e stretto, sembra dirci che in fondo in certi momenti della vita l’unica cosa che ci rimane è la speranza. Già quella storia del vaso di Pandora ce lo aveva suggerito: in fondo al vaso, dopo tutte le brutture e gli orrori del mondo, l’ultima a uscire era proprio Speranza e forse da lì spesso diciamoLeggi altro →

Se la diagnosi è imprescindibile nelle patologie mediche il tema diventa più complesso nei disturbi “dell’anima”. Come evitare i rischi di una diagnosi che diventa etichetta. La diagnosi è un modo di dare un nome alla sofferenza. E, se pensiamo alla patologia organica e a tutte le forme di accidenti che accadono al nostro corpo, possiamo dire che potergli dare un nome è un grandissimo aiuto. Immaginiamo, per esempio, di avere un forte dolore allo stomaco che non ci lascia respirare, che ci dà grande sofferenza. La nostra mente corre e va nei recessi più lontani a immaginare malattie gravi, come i tumori, il rischioLeggi altro →

La gigantesca mole di informazioni sempre a nostra disposizione online rischia di farci perdere di vista una pratica essenziale per la conoscenza, che vale la pena riscoprire ― Ma come fai a saperlo?― L’ha detto la televisione… Fino a poco tempo fa si diceva così, era dallo schermo televisivo che uscivano piccole grandi e medie verità. In qualche maniera, quella che nel Medio Evo era definita auctoritas, ovvero la parola scritta da eminenti studiosi, filosofi, teologi, nell’era della televisione derivava da lì, da quell’aura di sicurezza quasi ontologica che arrivava dallo schermo. Ora, finito il tempo in cui la televisione era anche un luogo virtuale inLeggi altro →

Comprendersi significa conoscersi? Fino a che punto? La profonda conoscenza dell’altro può a volte portare con sé la perdita dell’ascolto e della comprensione. Ecco che, forse, «restare sulla soglia» può essere d’aiuto. «Non ci capiamo più!». Quante volte abbiamo sentito dire questa frase o l’abbiamo pronunciata noi stessi. Quanta sofferenza nel vedere che l’altro, magari amico di sempre o compagno di una vita (o a volte anche il professionista della relazione d’aiuto), non ci comprende più. Ma cosa vuol dire comprendere? Curioso paradosso: le persone più si conoscono e più rischiano di non riuscire più ad ascoltarsi, a comprendersi. Eppure, si direbbe, quando una personaLeggi altro →