Tra torto e ragione non c’è via d’uscita

Una fotografia che ritrae bambini palestinesi tra le macerie di un edificio.

In un momento storico in cui capire chi ha torto e chi ha ragione appare sempre più difficile, è necessario rivoluzionare la prospettiva, cambiare il linguaggio e provare a guardare la complessità

Piccola storiella berbera: due persone stanno litigando. Un loro comune conoscente, vedendo che non si trova una linea comune di accordo, pensa di portarli dal saggio del villaggio, uomo giusto ragionevole e retto. Il primo entra nella tenda del saggio, spiega le proprie ragioni e il saggio sentenzia: “Hai ragione”. Entra il secondo, spiega le proprie ragioni e il saggio sentenzia: “Hai ragione”. A questo punto l’amico, sentendosi tradito dal saggio, irrompe nella tenda e dice: “Non puoi dare ragione a entrambi! Così non si riesce a uscire da questa situazione!”. Il saggio sentenzia: “Hai ragione”.

Certo, a leggerla non può che non scappare una sana e liberatoria risata però, a guardare bene, forse questa storia – che Freud chiamerebbe propriamente “motto di spirito” – ci comunica quanto sia difficile stabilire la ragione e il torto, dispensare premi e punizioni, quando si va oltre il mero comportamento inopportuno o maleducato, quando entrano nelle ragioni delle parti la loro storia, i miti, le leggende, le narrative sulle quali la vita di ciascuno di noi è fondata.

“Noi siamo un racconto”, ci dice il maestro Eugenio Borgna, non siamo solo le nostre azioni, i nostri comportamenti, ma siamo la fitta trama che intesse questi ultimi, che li dota di senso e che rende ragione di essi.

Così facendo dunque, cercando di rispettare fino in fondo le origini, i miti, le weltanschaungen di ciascuno, come supponiamo sia stato l’orientamento del saggio, allora ci sentiamo bloccati, afasici, incapaci di proferire parola, ancorché di giudicare. Il periodo che viviamo, a mio parere, rappresenta l’acme della narrativa dei popoli, la messa in scena pulita e senza fronzoli della mitologia delle singole fazioni in gioco. Come a dire, citando Francesco Guccini: “Noi ammazziamo solo per motivi buoni, ma quanto siano buoni i motivi siamo noi a deciderlo” (cit. Lager, F. Guccini).

Dunque noi, annoiati osservatori dalla pancia piena siamo lì a osservare le barbarie degli uni e degli altri e ad ascoltare le ragioni degli uni e degli altri… ci verrebbe da dire a entrambi: “Avete ragione”, ma non lo facciamo perché ci sono i morti a sbarrare la strada della facile via di uscita. Piano piano, come in un film horror in cui il protagonista percorre un corridoio buio e tiene con mano tremante una torcia elettrica, cerchiamo di fare luce tra le tenebre, di cercare ragione dove domina una realtà psicotica che ha preso il sopravvento e ormai ha smarrito la via della realtà.

Ci troviamo in una situazione che Karl Jaspers definirebbe “Grenzsituation”, una situazione limite… comunque se ne esca se ne esce con le ossa rotte: ci schieriamo e allora siamo di parte, decidiamo di rimanerne fuori e allora siamo ignavi. Mi sembra che proprio la condizione della situazione limite ci suggerisca che quando non c’è una soluzione va cambiato il gioco; constatato che comunque vada si perde allora occorre cambiare linguaggio, proporre altre logiche, sicuramente meno convincenti di primo acchito ma che gradualmente possano rischiarare la visuale e fare tornare l’umano.

già pubblicato su @fuoritestata

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