Siamo sempre di corsa, cerchiamo di “afferrare il vento”

Viviamo in una costante rincorsa di qualcosa che non sappiamo bene cosa è. Non si tratta solo di una caratteristica del nostro tempo, ma di qualcosa che ci appartiene in maniera molto più profonda

Certe cose mi hanno sempre affascinato, non solo le grandi cose, al contrario anzi spesso cose molto semplici, che però attraevano subito il bambino che era in me. Le scale mobili, ad esempio. Hanno sempre avuto su di me un potere di attrazione enorme, da ragazzo di campagna rimanevo a volte imprigionato nella compulsione di voler fare un altro giro di giostra, di provare quella sensazione di potere di avere a disposizione un mezzo che faceva fatica al mio posto.

Rimasi dunque molto colpito nel vedere che a Milano, la Milano che non ha tempo da perdere, le persone si allineavano sulla destra della scala per consentire a quelli di corsa di poter camminare o correre sulla stessa.  All’epoca non ero ancora avvezzo ai fatti ed alle bizzarrie della mente, non sapevo di essere di fronte a un classico di quello che Freud avrebbe sicuramente definito un frammento di “psicopatologia della vita quotidiana”. 

Correre, correre, correre o come direbbe Qoelet “afferrare il vento”: questa mi sembra essere l’essenza della nevrosi, sentire di non avere tempo da perdere, sentire di dover riempire ogni spazio, di non lasciare spazio al vuotoIntrappolati in una grande compulsione tendiamo spesso a non lasciare e non lasciarci tempo e spazio per sentire, pensare, lasciare entrare un po’ di aria nuova. 

Non si sazia l’occhio di guardare
né l’orecchio è mai sazio di udire.
 Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole.

Ancora Qoelet il “raccoglitore”, pseudonimo dell’autore di uno di quei libri della Bibbia molto amati anche dagli irriducibili materialisti come il sottoscritto, dalla notte dei tempi sembra metterci in guardia su questo tipo di voracità che a conti fatti non sembra proprio necessariamente legata ai tempi che viviamo.  Questo a mio avviso è il cambio di passo che ci attende, cercare di uscire dal vociare comune del ‘si stava meglio prima’, cogliere gli aspetti strutturali della nostra esistenza; eccoci lì allora fin dalla notte dei tempi a correre sulle scale mobili immaginando che ci attenda un dopo che non arriva mai. 

Se entriamo in questa dimensione del pensare, se cerchiamo di uscire dalla proiezione sul mondo della nostra inquietudine, allora ci rendiamo conto che la fretta, l’affanno, l’ansia, fanno parte di noi da sempre, sono la misura del nostro essere vivi.

Quante volte incontro persone che non hanno tempo neanche di mangiare, di fermarsi, di pensare…. Quante volte noi stessi ci sentiamo pressati da dietro e tirati in avanti dalle agende, dalla schedulazione nevrotica delle nostre giornate. Nel mondo che condividiamo sembra non esserci spazio per tutto quello che non è stato previsto, già programmato. 

Poi accade l’inaspettato, che sia una brutta giornata, una pandemia, una improvvisa vincita, un amore, una malattia, una perdita e allora che si fa? Allora improvvisamente il futuro crolla, come quando in moto ci si buca una gomma, quel senso di sicurezza e di imbattibilità si sgonfia e la moto diviene un triciclo malfermo, allora ci sentiamo in balia degli eventi e torniamo al concetto sicuramente più umano di avvenire. Nell’avvenire che sostituisce il futuro tocchiamo con mano la nostra caducità, ci rendiamo conto di aver al tavolo un altro giocatore oltre a noi e ai nostri programmi. Al tavolo si siede Dio (o chi per esso), un giocatore parecchio insidioso e di difficile decrittazione.

 Non ci resta che accogliere la nostra debolezza e cercare di negoziare con il grande Croupier sperando nella sua bontà e nella sua magnanimità. Alla fine, sembra che l’uscita da questo vicolo cieco, unico modo forse per addomesticare ansia e appetito allo stesso tempo è capire che la miglior risposta sta nello stare dentro al paradosso di avere fretta ed al contempo non voler arrivare in fondo subito.  Da questo punto sembra volerci rispondere ancora la Bibbia ed Isaia con il suo: “Sentinella a che punto è la notte?, sentinella a che punto è la notte?…. Domandate e domandate ancora, verrà la notte e verrà il mattino e poi di nuovo un’altra notte ed un altro mattino…. Ma voi domandate” (Isaia 12.11). 

Dunque, forse è questa la conclusione di tutto, a noi le domande e al Croupier le risposte.

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