Cosa vedo nei tuoi occhi

Come lo sguardo ha a che fare con l’identità? Quel che siamo nasce dall’incrocio del nostro sguardo su noi stessi (e sul mondo) con lo sguardo dell’altro su di noi

“Papà, guarda cosa ho imparato! Papà, guarda cosa sono capace di fare! Papà!”

Per chi ha figli il richiamo è ben noto, frequente e inequivocabile. Antica questione che è alla base della costruzione della nostra identità, il nostro bisogno di essere guardati per esistere arriva da molto lontano. Da sempre abbiamo bisogno di sapere di esser visti, la stessa religione con quell’occhio nel triangolo è lì, ad esempio imperituro. 

La chiamiamo identità, ovvero quel complesso di idee che formano noi stessi e che, tutte insieme, ci danno la percezione di chi siamo, che fondano la narrazione di noi. Già, perché come ci ripete spesso il maestro Eugenio Borgna, psichiatra e studioso della mente e dell’animo umano, noi siamo un racconto. Ed è molto interessante riflettere su come siamo arrivati, ciascuno per la propria strada, a costruire questa narrazione di noi. 

Nella complessità del concetto di identità ci sono due movimenti tra noi e il mondo, movimenti tra loro contrari che piano piano formano la trama e l’ordito di questo tessuto. Ci siamo noi, che diciamo al mondo chi siamo, noi che vogliamo che il mondo ci capisca, che renda merito dei nostri valori, delle nostre idee. Poi, come nel contrappunto musicale, c’è anche il moto contrario, ovvero c’è il mondo che parla di noi, che parla a noi di noi, che ci dice chi siamo. Così nasce la risposta alla domanda fondante dell’esistenza dall’incrocio tra lo sguardo al mondo e lo sguardo del mondo. 

Lo sguardo: occhi, occhi che accolgono, occhi che giudicano, occhi ieratici, melanconici, sensuali, complici. Occhi specchio dell’anima, porta di accesso verso le regioni più insidiose di ciascuno di noi, verso l’indistinto, l’informe, il non nominabile.

La partita del ‘chi sono io’ non è mai data una volta per tutte, è una scoperta continua, è un equilibrio da sempre provvisorio.

Spesso assistiamo a dibattiti assolutamente privi di senso se non quello di affermare il ‘chi sono io’; dalla corsa verso la presidenza del governo, fino ad arrivare alla contesa di un posto al cinema, di uno spazio per il parcheggio… tutti lì a prenderci per i capelli, disposti pure a uccidere pur di affermare una identità così fragile che basta un parcheggio, uno sguardo di traverso, per sentirci minacciati, fuori gioco. 

Mi vien da dire che dobbiamo stare attenti quando incontriamo lo sguardo dell’altro, dobbiamo tenere sotto controllo il nostro appetito narcisistico del pretendere approvazione e tributo.  Gli occhi dell’altro possono essere specchi o finestre a seconda di come noi riusciamo ad ammaestrare il nostro appetito; nella spasmodica e senza fine dimensione narcisistica del ‘lei non sa chi sono io!’ rincorriamo la nostra immagine presso lo sguardo dell’altro mendicandone attenzione, giudizio, valore. Nella misura in cui invece facciamo i conti con la brama di ‘io’ allora gli occhi dell’altro diventano finestre, porte di accesso di altri mondi, tante quanti sono gli sguardi che incrociamo. 

La ricchezza, dunque, non sta solo in ciò che siamo ma nella nostra capacità di aprirci allo sguardo dell’altro e condividere il nostro sguardo. Questo, a conti fatti, mi sembra un obiettivo sufficientemente ambizioso ma davvero utile da perseguire. 

Già pubblicato su @fuoritestata.it

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